Nave oneraria romana
Sesto continente diving Alassio, alla scoperta della Nave oneraria romana
La scoperta della nave romana di Albenga si deve al pescatore locale Antonio Bignone che nel 1925 recuperò nelle sue reti tre anfore romane.
La posizione del recupero fu indicata a circa 1 miglio dalla costa a circa 40 metri di profondità.
Il primo intervento di scavo e recupero del relitto risalgono al 1950 eseguito dalla ditta SORIMA, reduce del recupero dell’oro sul relitto Egypt cassa di bordo.
Furono recuperate circa 1000 anfore, in gran parte rotte nella parte superiore, cause probabili: reti a strascico ma anche la benna di recupero dell’Artiglio.
In realtà quel primo tentativo di recupero fu criticato, alla luce dei risultati ottenuti si trattò in effetti della prima presa di coscienza del significato che l’ archeologia sottomarina veniva ad acquistare nell’interpretazione dei numerosi problemi, non soltanto relativi alla conoscenza dei materiali antichi ma anche e soprattutto alla conoscenza della tecnica di costruzione navale, alle rotte di navigazione e del commercio dell’antichità.
Dopo il recupero delle navi di Nemi, i lavori effettuati sulla nave Romana di Albenga rappresentava il primo vero tentativo di scavo di un relitto in Italia.
Soltanto nel 1957, con la creazione del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina Albenga, si iniziarono i primi rilevamenti del relitto.
Nel 1961 si affrontò il rilevamento ufficiale della nave adottando il sistema di quadri di rilievo in tubi rigidi formanti una rete di copertura sul relitto, a maglie di cm 150×150, che attraverso un sistema di ingrandimento fotografico in scala di tutti i quadrati (192 per l’esattezza) e il loro fotomontaggio diede le misure reali del cumulo di anfore emergente dal fondo: 26 Mt. di lunghezza e 7.5 di larghezza.
Lo scavo iniziò subito dopo al rilevamento e lo stesso permise di accertare che vi era stato subito dopo il naufragio della nave un rapido insabbiamento del fondale e un riempimento di fango proveniente dal fiume Centa che fino agli inizi del Trecento sboccava di rimpetto al relitto.
I risultati più importanti furono raggiunti durante le campagne degli anni 1970 – 1971.
Durante queste campagne si poterono costatare che gli strati di anfore erano come minimo quattro, la scoperta di tre ordinate (larghe 14 – 15 cm e alte 12cm) distanti 10 cm tra di loro nonché la scoperta della lamina di piombo con le chiodatura in rame che fasciava il fasciame esterno, la scoperta della ceramica a vernice nera facente parte del carico impilata negli spazi vuoti tra le anfore la ceramica probabilmente era imballata con materiali leggeri (paglia o altro) e attorno ad essa frammenti di pietra pomice anch’essa come le anfore e le ceramiche di provenienza campana.
Lo scavo permise altresì di individuare l’albero maestro che aveva un diametro di circa 50 cm.
A seguito dei risultati dello scavo si accertò che la nave Romana d’Albenga era lunga circa 50 m. larga almeno 10 m.t. e le anfore trasportate dovevano essere almeno 10.000.
Si tenga conto conto che le anfore pesano vuote kg 21.5, che il loro contenuto era di 26 litri ogni anfora pesava all’incirca 45 kg. – quindi la nave aveva una portata di 450 tonnellate.
Ancora oggi questa nave costituisce uno dei più grandi relitti di navi onerarie romane oggi conosciute nel mediterraneo.
Per il tipo di anfore rinvenute sul relitto (Dressel 1b e poche anfore di forma Lamboglia 2), il tipo e la forma delle ceramiche rinvenute si è potuto collocare il relitto nel primo decennio del secolo 1 a.C.
Tra i materiali del carico sono stati recuperati 8 elmi bronzei, che potrebbero indicare la presenza di una scorta armata a bordo.
E’ ormai diventata famosa la “ruota di manovra” in piombo trovata dai palombari dell’Artiglio, ancora oggi di dubbia interpretazione e il corno in piombo che secondo il Lamboglia come facente parte della testa di un animale che doveva decorare la prua di questa magnifica nave.
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