Oued tiflet
“Ricordo una bandiera tedesca che sventolava a poppa, mossa dalla corrente. Era bella, nuova, di lana pesante. Ho pensato che in casa poteva servire. E infatti l’ha utilizzata mia moglie per fare un cappottino al bimbo piccolo.” Sono queste le parole di uno dei due uomini della cooperativa dei palombari di Genova che, per primi, sono scesi con lo scafandro sul mercantile Ouet Tiflet per recuperare il carico.
Oggi, quasi sessantenni dopo stiamo navigando in direzione di Loano per ripetere quell’immersione.
E’una tiepida mattina di fine estate e le parole pronunciate da quel palombaro riempiono i miei pensieri. Sento un gran rispetto per quegli uomini che scendevano in profondità, con attrezzature precarie, non per divertimento ma per mantenere le loro famiglie. Ma sento anche una forte emozione perché stò per fare quella che molti subacquei giudicano una delle immersioni più belle e affascinanti del Mediterraneo.
Giunti sul luogo dell’immersione ancoriamo alla boa fissata dai responsabili del Diving. In pochi secondi siamo tutti in acqua e, ad uno ad uno cominciamo a scivolare lungo il cavo. La discesa pare non finire mai. Avvolto nel blu mi sembra di scorgere qualcosa: forse la narcosi da azoto mi ha giocato un brutto scherzo.
Un momento! Ecco l’imponente sagoma del relitto che sembra venirmi incontro, comparendo lentamente quasi fosse stato lui a decidere di farsi vedere.
Il mercantile giace a 51 metri di profondità, in perfetto asse di navigazione e con la prua rivolta a Levante, segno di un ultimo disperato tentativo di sfuggire al quel tragico destino.
Introduzione dell’ articolo scritto dall’ amico Alberto Balbi fotografo subacqueo nel Febbraio 2002
L’esperienza dell’immersione.
La discesa sul relitto viene fatta sulla cima che abitualmente è fissata al ponte di comando della nave. Normalmente il relitto è avvolto da una nuvola di pesce che si sposta al passare dei subacquei. Il relitto è posizionato su un fondo fangoso ma il suo assetto sembra di una naturale navigazione. Il ponte probabilmente in legno non esiste più e permette al subacqueo più esperto di muoversi all’ intero della stiva. Il lavoro di smantellamento fatto dopo la fine della seconda guerra mondiale ha asportato solo le parti che potevano essere riutilizzate, la nave quindi è priva degli oblò dei serramenti e di tutti quegli oggetti che i palombari riuscirono a recuperare circa sessanta anni fa.
Dopo aver visitato il ponte di comando ci si può spostare verso levante dove si può notare un enorme squarcio provocato dal siluro del sommergibile Inglese. Le scalette, i boccaporti ed i portelli sono i testimoni muti del lavoro degli uomini del mercantile, poco più in là distaccata e spostata di circa 90 gradi rispetto all’asse della nave e quasi distaccata completamente giace riversa sul lato sinistro la prora.
La visita della Prua è consigliata a subacquei esperti visto il fondo difficile e l’intrigo di reti e cime che l’avvolgono per buona parte. Finito il giro esterno della prora ci si può spostare sulla murata di dritta dove inizia la visita interessante della nave. Due grosse stive da carico occupano tutto lo spazio del ponte. Seguendo una scala a pioli entriamo all’ interno dove si può notare il grosso tubo dove passava l’asse dell’elica. Un grosso squarcio sottocoperta permette di passare da una stiva all’altra. A poppa un grande argano fa da padrone sulla coperta dove si possono vedere ancora le cime nelle puleggie. La poppa ancora splendidamente intera offre la vista del timone con in basso l’ enorme elica imprigionata in parte dal fango.
Il pesce che vive intorno a questo maestoso gigante crea un atmosfera particolare.